Nel febbraio 2011 la donna si era rivolta a un centro estetico per essere sottoposta a sedute di cavitazione ed epilazione a luce pulsata, avvertendo immediatamente intenso dolore agli arti inferiori.
Nel febbraio 2011, la donna si era rivolta ad un centro estetico per essere sottoposta a sedute di cavitazione e ad una seduta di epilazione a luce pulsata alla regione inguinale ed agli arti inferiori. Durante il trattamento di epilazione, eseguito senza peraltro alcuna previa anamnesi, la cliente avvertiva immediatamente intenso dolore agli arti inferiori. Benché fosse stato subito segnalato il problema, l’operatrice aveva proseguito il trattamento nel corso del quale erano comparse vistose macchie rosse presenti anche nei giorni successivi. Gli arrossamenti davano luogo infine a vere e proprie lesioni, stabilizzate e non più emendabili. Ciò induceva la cliente del centro estetico ad avanzare, in sede giudiziale, domanda di risarcimento del danno nonché di restituzione della somma spesa per i trattamenti estetici non goduti, avendo la donna deciso, in seguito all'evento, di interrompere le sedute. Nel costituirsi, tuttavia, la titolare del centro estetico contestava la sussistenza di un nesso causale tra il danno lamentato dalla donna ed il trattamento di epilazione, nonché la quantificazione del danno, e denunciava, in ogni caso, la prevalente responsabilità della cliente nella determinazione del pregiudizio, chiedendo, pertanto, il rigetto di tutte le domande di parte attrice. Espletata una consulenza tecnica medico legale ed assunte le richieste testimonianze. Il Tribunale vicentino ha accolto, ritenendole fondate, le domande dell’attrice.
La consulenza tecnica aveva infatti stabilito il rapporto di causalità diretta tra la seduta cui la cliente si era sottoposta ed il danno cagionatole: secondo il medico legale, infatti, le riscontrate lesioni cutanee agli arti inferiori della donna dovevano dirsi “certamente ascrivibili ad un trattamento estetico di natura non medica (epilazione tramite luce pulsata ad alta intensità)”. Il Tribunale, per contro, riteneva insussistenti eventuali ragioni atte ad escludere la consecuzione temporale tra la sessione estetica e le lesioni cutanee riscontrate nei mesi successivi dagli specialisti cui l’attrice si era rivolta e persistite fino all’espletamento della consulenza tecnica, nonché la corrispondenza tra la tipologia di intervento a luce laser pulsata e la tipologia di lesione. Il centro convenuto, infatti, non aveva adempiuto all’onere di dimostrare (come sarebbe spettato, in conformità alla disciplina della responsabilità contrattuale):
a) l’esecuzione della propria obbligazione in maniera esatta e con la diligenza e la perizia dovute;
b) la ricorrenza, nella circostanza, di un qualsiasi fattore idoneo ad interrompere il nesso causale o, comunque, ad inserirsi nella catena causale, così da aggravare le lesioni medesime, oppure da determinare autonomamente il danno.
Il giudice vicentino ha anche respinto l’eccezione, avanzata da parte convenuta, di un concorso di colpa, ex art. 1227, comma 2, c.c. (a mente del quale “il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”).
Secondo la titolare del centro estetico, infatti, la donna, nonostante l’espressa richiesta di rassicurazione in tal senso da parte dell’operatrice, aveva falsamente affermato di non essersi esposta, nel periodo antecedente alla seduta, ai raggi ultravioletti, e di non avere assunto farmaci antinfiammatori. In realtà, tale assunto difensivo è rimasto privo di riscontro probatorio in sede processuale, e, pertanto, l’eccezione era stata respinta.
La consulenza tecnica esperita, al contrario, aveva in maniera inequivocabile confermato, oltre alla sussistenza del suddetto nesso causale:
a) che la pelle naturalmente scura dell’attrice, ed il suo stato di pigmentazione, rendeva inidoneo l’utilizzo, sulla sua persona, della tecnica depilatoria invece impiegata dal centro estetico;
b) che “un’estetista esperta avrebbe dovuto tener conto” di tutto ciò, contrariamente a quanto avvenuto, e ciò, di fatto, dimostrava definitivamente la negligenza e l’imperizia dell’operatrice nella circostanza.
Il Tribunale, passando ad analizzare il profilo del quantum risarcitorio, precisava infine:
a) che, nella fattispecie, la consulenza tecnica esperita aveva chiarito come l’attrice avesse riportato, in conseguenza del citato trattamento estetico, lesioni cutanee rappresentanti “un danno estetico non più emendabile, essendosi le lesioni stabilizzate”, produttive di un danno biologico temporaneo e permanente, quest’ultimo stimato in misura pari al 6%;
b) che il pregiudizio causato alla vittima non poteva certamente essere rapportato ad “anomale pigmentazioni del volto” ovvero a “cicatrici lineari poste sul collo, sul tronco o sugli arti, che varrebbero a sussumere le lesioni in esame” tra quelle di categorie più grave, ma che, pur trattandosi di “lesioni non lineari ma estese e discromiche agli atti inferiori”, esse dovessero, in ogni caso, essere valorizzate in maniera decisiva, comportando una estesa alterazione cutanea, collocata oltretutto in regioni del corpo particolarmente esposte, con conseguente influenza sull’aspetto estetico dell’attrice;
c) che, del resto, anche la Suprema Corte ha confermato (in tal senso, tra le pronunce più recenti, Cass. civ., n. 17220/2014), che il danno estetico costituisce una forma di invalidità permanente, sicché un simile pregiudizio “viene abitualmente risarcito all’interno del danno biologico” e può giustificare una personalizzazione qualitativa e quantitativa dei parametri adottati a tal fine;
d) che, pertanto, per quantificare l’importo da risarcire a titolo di danno non patrimoniale di tipo biologico, potessero essere prese a riferimento le Tabelle milanesi.
Da ciò la conseguente condanna del centro al pagamento di un cospicuo indennizzo alla malcapitata cliente.