Distanza tra pareti finestrate. Il Consiglio di Stato ribadisce l'obbligo dei 10 metri.

Consiglio di Stato, Sezione IV, Decisione 2 novembre 2010, n. 7731

Argomento
Sentenze
Data pubblicazione
6/09/2011

Il Supremo consesso amministrativo, con la pronuncia in esame, condividendo la censura della ricorrente, ribadisce la natura di norma primaria imperativa dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge n. 765 del 1967), con la conseguenza che eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione vengono caducate ed automaticamente sostituite dalla anzidetta disposizione.

Trattandosi di norma volta ad “impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario, è pertanto non eludibile”.

A tal proposito il Collegio sottolinea che “le distanze tra le costruzioni sono predeterminate con carattere cogente in via generale ed astratta, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza, di modo che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell'applicazione della disciplina in materia di equo contemperamento degli opposti interessi” (Consiglio Stato, sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909).

Ne deriva che il giudice è tenuto ad applicare le disposizioni concernenti la distanza minima tra gli edifici “anche in presenza di norme contrastanti incluse negli strumenti urbanistici locali” dovendosi le prime ritenere automaticamente inserite nel p.r.g. al posto della norma illegittima (in tal senso Cassazione civile, Sez. II, 29 maggio 2006, n. 12741).

In particolare, l’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, rubricato “Limiti di distanza tra i fabbricati”, prescrive i limiti minimi di distanza tra edifici a seconda delle diverse zone territoriali omogenee, e segnatamente, in ipotesi di costruzione di “nuovi edifici ricadenti in altre zone” (comma 1 n.2), prevede che la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti corrisponde a 10 metri, con obbligo di aumento della distanza sino all’altezza del fabbricato finitimo più alto, se questa sia maggiore di 10 metri (comma 2).

In altre parole, qualora uno o entrambi i fabbricati confinanti (l’edificio pregresso e/o quello di nuova costruzione) presentino un’altezza maggiore di 10 metri, la distanza minima tra edifici prescritta dalla legge (10 metri) va maggiorata sino all’altezza del fabbricato più alto.

La misura minima della distanza, tuttavia, è derogabile in due ipotesi tassative, contemplate dal comma 2 dell’art. 9: è consentito edificare a distanze inferiori rispetto a quelle previste dal comma 1 soltanto per i piani particolareggiati e per le lottizzazioni convenzionate, e non anche per gli interventi edilizi diretti, consentiti dallo strumento urbanistico, interventi tra i quali ricomprendere il permesso di costruire.

La deroga alle distanze minime è ammessa quindi soltanto per la pianificazione attuativa e non anche per i titoli abilitativi diretti tra i quali figura il permesso di costruire.

In merito alle modalità operative di calcolo della distanza minima, inoltre, il Consiglio di Stato conferma che “la distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti, prevista dall’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, “va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela”.

Tra gli elementi costruttivi rilevanti ai fini del computo della distanza vanno considerati anche quelli accessori, qualunque ne sia la funzione, aventi i caratteri della solidità, della stabilità e della immobilizzazione, salvo che non si tratti di sporti e di aggetti di modeste dimensioni con funzione meramente decorativa e di rifinitura, tali da potersi definire di entità trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma riguardata nel suo triplice aspetto della sicurezza, della salubrità e dell’igiene (Consiglio di Stato, Sez. V, 19 marzo 1996, n. 268).

Non sono da includere nel novero degli elementi utili al calcolo le mensole, le lesene, i risalti verticali delle parti con funzione decorativa, gli elementi in oggetto di ridotte dimensioni, le canalizzazioni di gronde e i loro sostegni, a meno che tali sporgenze particolari assumano dimensioni tali da estendere ed ampliare per l’intero fronte dell’edificio la parte utilizzabile per l’uso abitativo (in tal senso anche Consiglio Stato, Sez. IV, 5 dicembre 2005, n. 6909).

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